Milano, 13 giugno 2024 – Sono passati poco più di cinque mesi dall’entrata in vigore del primo Omnibus package sulla sostenibilità e il quadro della rendicontazione di sostenibilità in Italia comincia a farsi più chiaro. Ma non mancano le incognite, soprattutto per le piccole e medie imprese che ancora non rientrano nella Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD). Il sistema normativo è in continuo cambiamento e coinvolge migliaia di aziende italiane, alle prese con nuove regole, scadenze e strumenti da capire e mettere in pratica.
Dal 1° gennaio 2024 è scattata una svolta importante per la sostenibilità nelle aziende. La CSRD è diventata obbligatoria per le grandi imprese e le società quotate nei mercati regolamentati dell’Unione Europea. In Italia, secondo Consob, sono circa 250 le società interessate. Per queste realtà, la rendicontazione non è più facoltativa o una semplice buona pratica: è legge, con regole precise e sanzioni in caso di mancato rispetto.
Ma il cuore dell’economia italiana sono le micro, piccole e medie imprese (MPMI). Queste aziende, per ora escluse dalla CSRD, si trovano comunque sotto pressione. Grandi clienti e banche chiedono dati sempre più dettagliati su ambiente, sociale e governance. “Le richieste di dati ESG sono diventate routine anche per chi non è obbligato dalla legge”, spiega Marco Ferrando, consulente per la sostenibilità delle PMI lombarde.
Per colmare il vuoto lasciato dalla CSRD sulle piccole e medie imprese, la Commissione Europea ha promosso il Voluntary SME Sustainability Reporting Standard (VSME). È uno standard volontario pensato proprio per chi vuole o deve raccontare le proprie performance di sostenibilità. Negli ultimi mesi, il VSME ha guadagnato autorevolezza anche grazie a una raccomandazione ufficiale dell’UE arrivata a maggio.
Assonime lo vede come “un’occasione concreta per le PMI italiane di migliorare la loro posizione sul mercato e rispondere alle richieste della filiera”. Restano però alcune zone d’ombra: non ci sono ancora indicazioni precise per le cosiddette small mid-caps, società di media capitalizzazione che non sono né grandi imprese né piccole realtà.
Diverse associazioni di categoria, tra cui Confindustria e Confartigianato, hanno chiesto al Ministero dell’Economia chiarimenti su come applicare la nuova normativa. Si aspetta una circolare che spieghi i criteri per l’adozione volontaria del VSME e le tempistiche per estendere eventualmente gli obblighi anche alle small mid-caps. “Senza linee guida chiare rischiamo di navigare a vista in un mare di incertezze”, confida un imprenditore veneto del settore metalmeccanico.
Nel frattempo, alcune regioni come Emilia-Romagna e Lombardia hanno aperto tavoli tecnici con le Camere di Commercio per aiutare le aziende a muoversi nella transizione verso la rendicontazione ESG. Gli incontri si tengono spesso nel tardo pomeriggio, tra le 17 e le 19, con la partecipazione di consulenti, commercialisti e rappresentanti delle associazioni imprenditoriali.
Secondo il Centro Studi Unioncamere, entro il 2025 almeno il 30% delle PMI italiane dovrà dotarsi di strumenti per rendicontare la sostenibilità, anche solo per restare competitiva con clienti e fornitori internazionali. Il percorso è tutt’altro che semplice: molte aziende si lamentano per i costi e le difficoltà nel capire i nuovi standard. Ma la direzione è chiara.
“Chi si muove adesso avrà un vantaggio competitivo negli anni a venire”, sottolinea Silvia Rinaldi, docente di economia aziendale all’Università di Bologna. In attesa dei chiarimenti attesi per l’autunno, il settore resta vigile sulle prossime mosse di Bruxelles e Roma. Nel frattempo, la parola d’ordine è una sola: prepararsi.
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