Roma, 23 novembre 2025 – Torna al centro del dibattito la questione della **sede fissa all’estero**. Le aziende italiane sono sempre più spinte a guardare oltre i confini nazionali, ma le autorità fiscali restano attente. Gli esperti tributari sottolineano che una **presenza stabile**, come un ufficio, una filiale o un laboratorio in un altro Paese, deve rispondere a **vere esigenze commerciali**, non essere solo uno stratagemma per pagare meno tasse. Un tema spinoso su cui il Ministero dell’Economia e l’Agenzia delle Entrate insistono da mesi.
## Sede fissa: dove passa il confine
Nel linguaggio della fiscalità internazionale, parlare di **sede fissa d’affari** significa fare una distinzione netta. Per chi controlla le tasse, «non basta aprire una struttura all’estero», ha chiarito un funzionario dell’Agenzia delle Entrate durante un recente incontro alla Luiss. Serve uno scopo preciso: l’ufficio deve servire davvero a fare affari – vendite, produzione, assistenza tecnica – e non essere solo una presenza formale.
Negli ultimi mesi, ispezioni tra Milano e Roma hanno portato alla luce società che dichiaravano sedi a Lugano o Londra «senza mai aver fatto trattative o firmato contratti», racconta un investigatore della Guardia di Finanza. Solo davanti a documenti spesso poveri di contenuti si vede la differenza tra un insediamento vero e proprio e una semplice casella postale.
## Norme più strette e rischi concreti
Il quadro si è complicato con la direttiva europea DAC6 e le nuove linee guida OCSE. Da quando sono scattati i controlli più severi, soprattutto dal 2023, gli uffici fiscali chiedono che la **motivazione commerciale** sia documentata in modo chiaro. Non si tratta di burocrazia inutile: servono report sulle trattative fatte all’estero, fatture firmate dal personale locale e la prova dei flussi economici.
Ma come spiega il commercialista Paolo Santini (studio Santini & Associati, zona Parioli), «molte imprese ancora non capiscono cosa significhi davvero avere una presenza stabile». Qualcuno pensa sia sufficiente affittare uno spazio: «In realtà ci vogliono persone e attività concrete». Senza queste prove, si rischia un **contenzioso fiscale** con multe che possono superare anche il milione di euro.
## La parola ai giudici
La **Corte di Cassazione**, con la sentenza n. 8412/2024 dello scorso marzo, ha confermato l’orientamento duro dell’Agenzia delle Entrate: «La sede fissa deve essere il centro reale di buona parte dell’attività dell’impresa». Non bastano firme su documenti o presenze temporanee. I giudici parlano chiaro: serve “sostanza economica”, dimostrabile dai fatti più che dalle carte.
Ogni caso va esaminato nei dettagli: orari di apertura dell’ufficio, dipendenti assunti con regolarità, rapporti commerciali evidenti. Simili posizioni arrivano anche da tribunali europei in Germania e Francia.
## Cosa cambia per le imprese italiane
Per chi esporta o investe fuori dall’Italia, dimostrare una **presenza commerciale reale** è diventato fondamentale. Un manager del settore farmaceutico a Roma – che preferisce non farsi nominare – confessa: «Dopo le nuove circolari abbiamo rafforzato la filiale di Barcellona; ora lavorano lì cinque persone fisse e facciamo incontri ogni settimana». Sono proprio questi dettagli a fare la differenza quando arriva il fisco.
I consulenti consigliano alle aziende di curare bene la documentazione per ogni attività svolta all’estero. Non basta mostrare un contratto d’affitto: servono **prove concrete**, dal pagamento degli stipendi alla gestione quotidiana degli ordini. Le aziende sono state avvertite.
## Guardando avanti: tra certezze e sfide
Per alcuni analisti del Centro Studi Confindustria l’attenzione sulla “sostanza economica” potrebbe portare più chiarezza nelle regole ma anche far salire il numero dei controlli. Una possibile soluzione sarebbe un accordo europeo condiviso sulla definizione di **sede fissa**, per evitare interpretazioni diverse da Paese a Paese. Lo suggerisce Francesca Demartini, fiscalista dell’Università Bocconi.
Per ora resta valido il consiglio degli esperti: valutare tutto caso per caso e tenere traccia precisa di ogni attività all’estero. Solo così si può dimostrare alle autorità fiscali italiane qual è la reale motivazione commerciale dietro una **sede estera**. Un compito semplice sulla carta, ma che nella vita quotidiana impone spesso alle imprese di rivedere strategie e strutture operative in fretta, alla luce dei nuovi controlli internazionali sulle tasse.
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