Milano, 10 novembre 2025 – Un socio può impugnare un accertamento fiscale notificato a una società ormai estinta anche dopo più di cinque anni dalla cancellazione dal Registro delle imprese. È quanto stabilito da una recente sentenza della Corte di Cassazione, che torna su un tema spesso al centro di dubbi e discussioni tra professionisti e contribuenti: che fine fanno gli atti fiscali una volta che la società cessa formalmente di esistere.
Accertamenti fiscali dopo la chiusura: chi può ancora fare ricorso?
L’articolo 28, comma 4, del Decreto Legislativo 175/2014 dice chiaramente che per cinque anni dopo la richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese la società, ai soli fini della notifica di atti fiscali e riscossione, si considera ancora esistente. In parole semplici, l’Agenzia delle Entrate può ancora mandare cartelle e avvisi a una società estinta, ma solo entro quel periodo. Quando passano quei cinque anni, la situazione cambia.
La Cassazione ha spiegato che dopo i cinque anni la società perde ogni diritto a ricevere atti o a difendersi in tribunale. Però, i soci che ricevono richieste di pagamento per debiti fiscali ancora aperti possono impugnare gli atti che li riguardano direttamente. “La società non c’è più, ma il socio può ancora rivolgersi al giudice per difendere i suoi interessi”, si legge nelle motivazioni depositate il 5 novembre.
Soci responsabili, ma con il diritto di difesa
Questo principio si basa sulle regole civili e fiscali. Quando una società viene cancellata dal Registro, il suo patrimonio residuo passa ai soci, che rispondono fino all’ammontare di quanto ricevuto. Se l’Agenzia delle Entrate manda un avviso di accertamento dopo i cinque anni dalla cancellazione, non può più rivolgersi alla società – che non esiste più – ma deve indirizzarlo al socio.
“Non è solo una questione di forma”, spiega un avvocato tributarista di Milano. “Chi rischia di vedersi pignorare beni o soldi deve poter reagire e difendersi davanti al giudice”. Insomma, se il fisco chiede soldi a chi ha ereditato beni o denaro dalla liquidazione della società, quel socio ha il diritto di contestare l’atto anche dopo il termine dei cinque anni.
Cosa cambia per soci e professionisti
La decisione della Cassazione incide sulle strategie di difesa di ex amministratori e soci. In passato non era raro che l’Agenzia delle Entrate notificasse atti a società già cancellate, contando di poter agire comunque contro i soci. Oggi la giurisprudenza è chiara: una volta passati i cinque anni, ogni atto deve arrivare direttamente al socio interessato.
Gli esperti sottolineano che questa interpretazione tutela meglio i contribuenti. “Un socio non può essere chiamato a rispondere per debiti fiscali senza avere la possibilità di difendersi”, dice un consulente fiscale contattato da alanews.it. Così si evita che la cancellazione della società diventi un modo per aggirare i diritti di chi deve pagare o, al contrario, per bloccare l’azione dell’amministrazione finanziaria.
La legge e le prossime mosse
Il tema resta caldo tra gli addetti ai lavori. L’articolo 28 del DLgs. 175/2014 è un punto di riferimento, ma non mancano interpretazioni diverse. Alcuni giudici hanno ritenuto che anche entro i cinque anni la notifica a una società estinta sia nulla se non coinvolge il socio. Altri invece hanno adottato un approccio più elastico.
Nel frattempo, l’Agenzia delle Entrate invita a fare attenzione a tempi e modi di notifica. “Individuare il destinatario giusto è fondamentale perché l’atto sia valido”, si legge in una circolare interna recente. Solo così si potrà parlare di certezza del diritto sugli accertamenti fatti dopo la chiusura della società.
In attesa di chiarimenti ulteriori, resta fermo un punto: dopo la cancellazione e il passaggio di cinque anni, il socio ha il diritto di impugnare gli atti che lo riguardano direttamente. Un dettaglio che può fare la differenza in tante cause tributarie ancora aperte nei tribunali italiani.
