Incentivi per l’assunzione di donne disoccupate: nuove opportunità e vantaggi per le aziende

Franco Sidoli

11 Dicembre 2025

Roma, 11 dicembre 2025 – Negli ultimi anni, il concetto di “impiego regolarmente retribuito” è diventato un tema centrale nel dibattito giuridico e sindacale in Italia. A chiarirlo è un recente studio dell’Università di Roma La Sapienza, presentato ieri mattina nell’aula magna di Piazzale Aldo Moro. Al centro della definizione, molto richiamata in sentenze e contratti, ci sono due aspetti fondamentali: la retribuzione effettiva e la durata del rapporto di lavoro, soprattutto nel settore del lavoro subordinato.

Cosa vuol dire davvero “impiego regolarmente retribuito”

Nel diritto del lavoro, questa espressione indica un rapporto che prevede un pagamento continuativo e conforme a quanto stabilito dalla legge o dai contratti collettivi. “Non basta ricevere uno stipendio – spiega il giuslavorista Enrico D’Ascenzo, uno dei relatori dello studio – bisogna che i pagamenti siano regolari e che il rapporto duri nel tempo”.

La giurisprudenza distingue tra lavori occasionali e rapporti stabili: solo questi ultimi contano per maturare certi diritti, come la disoccupazione o i permessi per motivi familiari. Una linea confermata anche da recenti decisioni della Cassazione.

Durata e paga: le due colonne portanti

La durata del rapporto è decisiva. L’articolo 2094 del Codice Civile definisce il lavoro subordinato come quel rapporto in cui “il lavoratore si impegna, dietro retribuzione, a collaborare nell’impresa sotto la direzione dell’imprenditore”. La regolarità della paga – spesso versata tramite bonifico – e la continuità del rapporto aiutano a capire quando si parla di un impiego regolarmente retribuito.

“Spesso – sottolinea D’Ascenzo – gli enti previdenziali contestano proprio quando i contributi non vengono versati regolarmente”. In sostanza, un lavoro saltuario o pagato in nero non può essere considerato “regolare”, né sul piano contributivo né su quello legale.

I riflessi concreti: dai permessi alle tutele sociali

Chi ha un impiego regolarmente retribuito può accedere a bonus, permessi pagati e altre forme di sostegno al reddito. Lo ha ricordato anche la segretaria nazionale della CGIL, Susanna Camusso: “È essenziale garantire continuità e legalità nel rapporto di lavoro perché i diritti diventino concreti”.

Gli enti come INPS e INAIL fanno affidamento proprio su questi criteri quando devono decidere in caso di controversie. Nel recente caso esaminato dal Tribunale di Milano su un lavoratore part-time saltuario, la sentenza ha dato ragione all’ente previdenziale: senza continuità, niente benefici.

Lavoro subordinato o autonomo? Una distinzione sottile

Un altro tema discusso riguarda la differenza tra lavoro subordinato e autonomo sul piano della “regolarità” dell’impiego. “Nel lavoro autonomo la nozione è più sfumata”, ammette D’Ascenzo. Però anche per i collaboratori a progetto l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che solo rapporti costanti e documentabili danno diritto alle agevolazioni fiscali previste per chi lavora con continuità.

Restano però molte zone d’ombra. La giurisprudenza cambia continuamente; ogni caso va valutato singolarmente, soprattutto dopo le riforme sul lavoro occasionale.

Contratti collettivi sotto la lente: cosa cambia

I contratti collettivi nazionali (CCNL) sono fondamentali perché fissano standard minimi su retribuzione e durata necessaria per considerare un impiego “regolare”. Spesso sono proprio questi accordi a fornire parametri chiari a giudici e parti sociali.

Dal punto di vista sindacale, però, c’è una richiesta forte: serve una norma chiara a livello nazionale. “Occorre una definizione precisa”, ribadisce Camusso. Intanto resta fondamentale verificare con attenzione i fatti – durata del contratto, pagamenti puntuali e tracciabili – perché solo così il concetto di impiego regolarmente retribuito potrà tradursi davvero in diritti certi per chi lavora in Italia.

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