Milano, 1 dicembre 2025 – Il totale disinteresse degli organi fallimentari può riattivare la capacità processuale di una società coinvolta in un fallimento. Lo ha chiarito oggi il Tribunale di Milano, che con una sentenza ha offerto nuovi spunti sulla rappresentanza in giudizio delle società fallite. Il collegio presieduto dal dottor Paolo Ricci ha stabilito che la “Ars Italica Srl”, fallita nel febbraio 2024, può difendere direttamente i propri interessi in tribunale, visto che curatore e comitato dei creditori hanno mostrato un netto disinteresse ad agire.
Il caso non è raro: molte società dichiarate fallite si trovano a dover difendere diritti o contestare richieste di creditori, ma il curatore spesso decide di non muoversi. Qui a Milano, la società ha chiesto di poter seguire in prima persona una causa civile, visto che – come dimostrano le notifiche agli atti – né il curatore né il comitato dei creditori hanno mostrato alcun interesse. Anzi, hanno lasciato passare oltre quattro mesi senza reagire.
La legge italiana in questi casi lascia spazio a interpretazioni diverse. Gli avvocati di Ars Italica sostengono che questo silenzio equivale a una rinuncia. “Abbiamo chiesto che la società potesse far valere direttamente le sue ragioni davanti al giudice, perché nessuno sembrava volerlo fare,” ha detto l’avvocato Lorenzo Bassi durante l’udienza del 18 novembre nella seconda sezione civile.
La decisione milanese si allinea con una linea interpretativa diffusa, anche se non unanime. Ci sono sentenze simili, come quella del Tribunale di Roma nel 2022 e altre dalle Corti d’appello di Torino e Firenze. In breve, “l’assenza di un interesse concreto da parte degli organi fallimentari può far tornare alla società fallita la capacità di agire in giudizio,” si legge nel dispositivo pubblicato oggi alle 10:15 dalla cancelleria.
Fonti legali legate al caso spiegano che i giudici hanno valutato non solo la mancanza di opposizione degli organi fallimentari, ma anche le comunicazioni tra curatore e società. Il curatore ha risposto solo per prendere atto della richiesta senza negarla o spiegare il perché del mancato intervento, racconta un funzionario della cancelleria.
Cosa significa tutto questo per chi si trova in stato di fallimento? La sentenza apre nuove possibilità soprattutto quando il rischio è che l’inerzia degli organi blocchi ogni iniziativa a tutela del patrimonio residuo. “Se curatore e comitato restano fermi – spiega Bassi – la società deve poter agire o difendersi da sola.”
Il tema riguarda soprattutto quei casi dove i diritti o i beni coinvolti non sono immediatamente riconosciuti come utili alla massa fallimentare o riguardano azioni di valore limitato su cui gli organi preferiscono non spendere energie. Eppure anche queste questioni possono influire sul recupero o sulle responsabilità degli amministratori.
Dopo la pubblicazione della sentenza milanese sono arrivate le prime reazioni dagli esperti. Giuseppe Longhi, docente all’Università Statale di Milano e specialista in procedure concorsuali, parla di “una lettura pragmatica che evita quei vuoti in cui nessuno muove un dito.” Avverte però: “Bisogna fare attenzione e controllare bene caso per caso il reale disinteresse degli organi.”
Altri professionisti notano come questa decisione potrebbe fare scuola anche fuori dalla Lombardia. “È una pronuncia limitata al singolo procedimento ma potrebbe influenzare altri tribunali nei prossimi mesi,” osserva Lucia Parodi, avvocato civilista tra Lombardia ed Emilia.
Al momento, tra gli addetti ai lavori e le aziende coinvolte resta l’impressione che il tribunale abbia scelto una soluzione concreta a un problema ricorrente nelle procedure fallimentari: se gli organi sono fermi (e ciò viene dimostrato), allora la parola torna alla società stessa. Un principio semplice ma tutt’altro che scontato.
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