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L’importanza del conferimento dell’incarico nell’applicazione del «vecchio» equo compenso

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Franco Sidoli

Roma, 5 novembre 2025 – La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29039 depositata il 3 novembre, ha messo un punto fermo sul tema dell’equo compenso degli avvocati. A contare, per applicare la vecchia normativa, è il momento in cui viene affidato l’incarico, non la data della convenzione quadro tra le parti. Una decisione che riguarda migliaia di professionisti e clienti, in un settore dove i compensi spesso fanno discutere.

Equo compenso: la Cassazione cambia le regole del gioco

La Suprema Corte ha stabilito che la legge introdotta dall’articolo 13-bis della legge 247/2012 – poi abrogata dalla legge 49/2023 – si applica solo ai contratti di patrocinio firmati dopo il suo arrivo. Anche se la convenzione quadro tra avvocato e cliente era stata sottoscritta prima. In pratica, il diritto dell’avvocato al compenso nasce dal singolo incarico, non dalla convenzione generale.

“Il titolo per il compenso – si legge nelle motivazioni – non sta nella convenzione, ma nei contratti di patrocinio firmati ogni volta, con cui il professionista riceve l’incarico di difesa”. Un passaggio che, secondo fonti legali, potrebbe cambiare il volto di molte cause ancora aperte.

Convenzioni quadro e incarichi: un problema di tempistiche

La sentenza chiarisce che le clausole sui compensi vanno valutate sia rispetto alla legge in vigore quando si firma la convenzione, sia a quella valida al momento del singolo incarico. Non è un dettaglio da poco. Molte grandi aziende e amministrazioni pubbliche firmano convenzioni quadro con studi legali, ma gli incarichi specifici arrivano anche anni dopo.

La Cassazione ha anche escluso che l’equo compenso possa applicarsi a rapporti già conclusi prima dell’entrata in vigore della norma. “La legge non è interpretativa”, spiegano i giudici, “e non si estende a incarichi presi prima della sua entrata in vigore e ancora in corso”. Questo perché ogni contratto di patrocinio è considerato a sé, non un accordo di lunga durata.

Addio alla vecchia norma: cosa cambia davvero

Dal 20 maggio 2023, la legge 49/2023 ha riscritto tutto, cancellando l’articolo 13-bis della legge forense. La nuova norma, prevista dall’articolo 11, non si applica alle convenzioni già in corso quando è entrata in vigore. Un punto che, secondo diversi avvocati romani sentiti da alanews.it, ha creato una sorta di “doppio binario” per chi lavora tra vecchie e nuove regole.

L’Ordine degli Avvocati di Roma commenta: “La sentenza della Cassazione dà un criterio chiaro per risolvere molte dispute degli ultimi anni”, ma avverte che restano delle zone d’ombra, soprattutto per i casi ancora aperti o per le convenzioni firmate proprio nel passaggio tra le due norme.

Cosa cambia per avvocati e clienti

In pratica, la decisione impone a avvocati e clienti di controllare con attenzione la data in cui viene dato l’incarico, per capire quale legge si deve applicare al compenso. “Non basta guardare alla convenzione quadro”, spiega un legale milanese esperto di diritto civile. “Conta la data in cui si firma il mandato per quella causa specifica”.

Per le aziende e le amministrazioni pubbliche, la sentenza è un campanello d’allarme. Alcuni responsabili legali hanno già annunciato una revisione delle procedure interne, per evitare problemi e contenziosi in futuro.

Equo compenso, un tema che resta caldo

Il tema dell’equo compenso continua a far discutere, soprattutto sulla tutela dei professionisti. La legge del 2023 ha messo regole più rigide per garantire compensi giusti, ma la convivenza tra vecchio e nuovo sistema genera ancora dubbi. La sentenza n. 29039 della Cassazione, depositata il 3 novembre, segna un punto chiave: per la vecchia legge conta il momento dell’incarico, non quello della convenzione quadro.

Forse così si potrà andare verso una maggiore chiarezza per avvocati e clienti. Intanto, nel settore si aspetta ancora qualche chiarimento da parte della giurisprudenza.

Franco Sidoli

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