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Nuove linee guida ANAC sul whistleblowing: focus su modelli 231 e gruppi di imprese

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Franco Sidoli

Roma, 16 dicembre 2025 – L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha presentato ieri a Palazzo Vidoni la sua relazione annuale, mettendo sotto i riflettori i modelli organizzativi 231 e il tema dei gruppi di imprese. Un’attenzione che rispecchia l’evoluzione degli strumenti di prevenzione della corruzione, sia nel pubblico che nel privato, alla luce delle sfide emerse nell’ultimo anno.

Gruppi societari sotto la lente

Il presidente Giuseppe Busia ha consegnato il rapporto poco dopo le 10, davanti a rappresentanti del governo, della magistratura e dell’amministrazione. Nel documento si evidenzia come la normativa 231, in vigore da quasi venticinque anni, si trovi ora davanti a un banco di prova importante riguardo ai gruppi di imprese. “Le strutture societarie sempre più complesse chiedono strumenti più precisi per evitare zone d’ombra e responsabilità evitate”, si legge nel testo.

Già nelle prime pagine emerge la difficoltà a individuare responsabilità nette tra capogruppo e controllate. “È una questione concreta”, spiega una funzionaria ANAC a fine incontro, “perché nei processi giudiziari spesso si finisce a rimpallare colpe senza trovare soluzioni reali”.

Modelli 231: teoria vs pratica

Per l’ANAC, il nodo resta l’effettiva efficacia dei modelli 231 adottati dalle aziende. Busia non ha usato mezzi termini: non basta avere manuali interni o politiche scritte “a uso e consumo”. “Abbiamo visto casi in cui tutto è solo sulla carta, senza cambiare davvero i comportamenti”, ha detto durante la conferenza. Il problema riguarda grandi gruppi industriali ma anche realtà medie, soprattutto in settori delicati come gli appalti pubblici.

Nel 2025 sono partiti oltre 120 controlli su enti pubblici economici e società partecipate. In quasi il 40% delle verifiche sono emerse lacune importanti: procedure obsolete, codici etici ignorati e sistemi di controllo interno poco efficaci.

Cosa dicono le imprese

L’allarme ANAC ha acceso il dibattito tra gli imprenditori. “I modelli 231 sono uno strumento utile – riconosce Lucia Garofalo, responsabile compliance di una grande multiutility romana – ma serve un approccio più pratico: formazione concreta, sistemi digitali integrati e aggiornamenti continui sui rischi”. Stessa linea anche da Confindustria che chiede regole più chiare sulla responsabilità nei gruppi e incentivi per chi fa bene.

Non mancano però le criticità: nelle indagini ANAC sono saltati fuori casi in cui i vari modelli di controllo nei gruppi creano confusione o buchi, con effetti opposti rispetto agli obiettivi di trasparenza.

Serve una nuova legge?

Per questo motivo, l’ANAC propone l’apertura di un tavolo tecnico al Ministero della Giustizia. Lo scopo è rivedere alcuni aspetti della normativa 231/2001, soprattutto sul tema della responsabilità amministrativa nei gruppi di società, per chiarire ambiguità che la giurisprudenza fatica a risolvere.

La richiesta è chiara: definire regole precise su quando la capogruppo deve rispondere e quali strumenti organizzativi mettere in campo tra società legate da rapporti partecipativi. “Non possiamo più accettare che la complessità sia un alibi”, ha concluso Busia davanti alla platea.

Bilancio tra luci e ombre

Sul piano pratico il quadro resta complicato. Da una parte cresce la consapevolezza sull’importanza della prevenzione della corruzione, dall’altra permangono resistenze culturali e problemi tecnici. Per il prossimo anno è atteso un giro di vite sui controlli: già pronto un piano specifico per i gruppi attivi nelle infrastrutture e nei servizi pubblici locali.

In attesa di sviluppi normativi concreti, il messaggio che arriva dalla relazione ANAC è uno solo: abbandonare l’approccio del semplice adempimento formale e puntare invece su modelli organizzativi di qualità. Solo così si potrà davvero ridurre il rischio corruzione che attraversa il confine tra pubblico e privato nel sistema produttivo italiano.

Franco Sidoli

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