Roma, 21 giugno 2024 – La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35587 depositata ieri, ha confermato l’assoluzione di un amministratore di diritto di una srl, accusato di truffa e false comunicazioni sociali. La Corte ha respinto le richieste delle parti civili, che volevano una condanna automatica solo per il fatto di ricoprire quell’incarico. Al centro del dibattito c’è il vero ruolo dell’amministratore formale rispetto agli illeciti compiuti da chi, invece, gestiva davvero la società.
Amministratore di diritto: non basta il titolo per condannare
Dalle motivazioni della sentenza emerge chiaro un concetto: la sola carica di amministratore di diritto non può far scattare automaticamente una responsabilità penale per i reati commessi da altri, come il commercialista o, come in questo caso, il padre dell’imputato che teneva in mano la gestione reale della società. I giudici sottolineano che bisogna sempre capire qual è stato il coinvolgimento concreto dell’amministratore formale nell’illecito.
La sentenza spiega che per certe violazioni, come la mancata tenuta della contabilità, la responsabilità può scattare in base al ruolo di garanzia dell’amministratore. Ma per reati come il falso documentale o la truffa, spesso commessi in momenti e luoghi precisi, è difficile attribuire colpe se l’amministratore formale non aveva il controllo diretto, specie quando la gestione è affidata ad altri.
Responsabilità personale: il principio che non si può ignorare
Nel cuore della sentenza, la Cassazione ribadisce un principio fondamentale del diritto penale: la responsabilità è sempre personale. “Il diritto penale – si legge – si basa sul principio di personalità della responsabilità”. Questo significa che non si possono fare sconti né applicare automatismi, ma serve accertare il ruolo effettivo di chi è accusato.
Perciò, la Corte ha bocciato la tesi delle parti civili secondo cui l’amministratore di diritto sarebbe sempre responsabile per illeciti commessi da chi gestisce la società. “Non si può dire – hanno spiegato i giudici – che avere la carica basti per essere condannati per i fatti altrui”. Serve un coinvolgimento diretto o almeno una partecipazione consapevole per arrivare alla condanna.
Cosa cambia per le società e i loro amministratori
Questa decisione avrà un impatto concreto sulle società a responsabilità limitata e sul ruolo degli amministratori formali. Spesso, soprattutto nelle piccole aziende familiari, l’amministratore testa di legno è una figura usata per motivi pratici o burocratici, mentre chi comanda davvero è un altro.
Gli avvocati sentiti fuori dall’aula hanno commentato che la sentenza “fa chiarezza su una questione spesso controversa”, evitando che chi formalmente ricopre una carica venga trascinato in tribunale per fatti che non ha commesso né poteva controllare. Resta però ferma la responsabilità civile legata alla carica, come sottolineato dagli stessi giudici.
Reazioni a caldo e cosa aspettarsi
All’uscita dalla Corte, l’avvocato difensore dell’imputato ha parlato di “una decisione equilibrata, che tutela i principi del diritto penale e le esigenze di giustizia”. Le parti civili, invece, hanno espresso delusione, sostenendo che “così si rischia di lasciare impuniti comportamenti gravi”.
La sentenza n. 35587 diventa un punto di riferimento per casi simili in futuro. Solo una verifica accurata del ruolo personale potrà giustificare una responsabilità penale dell’amministratore di diritto. Un principio che, per la Suprema Corte, non può essere aggirato con scorciatoie o regole automatiche.
