Roma, 7 novembre 2025 – La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28846 depositata il 31 ottobre 2025, ha stabilito che il contratto di mutuo dissenso legato a una compravendita immobiliare deve essere tassato separatamente, seguendo le regole previste per i trasferimenti immobiliari. La sentenza arriva dopo un lungo confronto tra privati e Agenzia delle Entrate e conferma che vale il principio di alternatività tra IVA e imposta di registro anche quando si risolve consensualmente un contratto di vendita.
Mutuo dissenso: non solo annullamento, ma un nuovo atto da tassare
Nel caso esaminato, le parti avevano firmato un contratto di mutuo dissenso per annullare una precedente compravendita, come previsto dall’articolo 1372 del Codice Civile. In parole semplici, venditore e acquirente decidono insieme di tornare indietro, restituendo i beni oggetto del primo accordo. Ma per la Cassazione, questo non è solo un modo per cancellare il contratto iniziale: si tratta di un nuovo accordo con effetti “retro-traslativi”, cioè in grado di riportare tutto com’era prima.
La Corte spiega che questa risoluzione consensuale crea una nuova situazione che genera capacità contributiva. Per questo, deve essere soggetta a imposta di registro. “L’atto di risoluzione consensuale – si legge nell’ordinanza – è un nuovo contratto, con effetti uguali e contrari rispetto al precedente”.
IVA o registro? La partita dell’alternatività
Il cuore della sentenza riguarda il rapporto tra IVA e imposta di registro. La Cassazione ribadisce che anche nel mutuo dissenso vale il principio di alternatività: se la vendita originaria era soggetta a IVA, allora anche la restituzione dei beni segue quel regime. In pratica, se l’operazione è soggetta a IVA, l’imposta di registro si paga solo in misura fissa.
I giudici sottolineano che “non c’è motivo per escludere il principio di alternatività IVA-registro”, perché la legge stabilisce che l’imposta si applica “secondo il regime previsto per i trasferimenti immobiliari”. Quindi, il contribuente non deve pagare due volte per la stessa operazione, ma solo l’imposta principale (IVA o registro), mentre l’altra si calcola in misura ridotta o fissa.
Cosa succede ora: la parola ai giudici d’appello
La vicenda non finisce qui. La Cassazione ha rimandato il caso alla Corte di Giustizia di secondo grado, chiedendo un nuovo esame alla luce di questo principio. Toccherà ai giudici d’appello capire se, nel caso specifico, il mutuo dissenso abbia davvero comportato un trasferimento soggetto a IVA e applicare la tassazione di conseguenza.
Per chi lavora nel settore immobiliare e per i professionisti fiscali, la sentenza è un punto fermo. Anche le operazioni di scioglimento consensuale delle compravendite vanno valutate con attenzione dal punto di vista fiscale. “È un chiarimento importante – ha detto un tributarista romano contattato da alanews.it – perché mostra che il mutuo dissenso non è solo una cancellazione, ma un nuovo atto con effetti concreti e fiscali”.
Una regola destinata a fare scuola
Negli ultimi anni, la tassazione degli atti di mutuo dissenso era stata interpretata in modo diverso. C’era chi pensava che la risoluzione consensuale fosse solo un modo per annullare il contratto originario, senza altre conseguenze fiscali. La Cassazione invece traccia una linea più netta: ogni atto che porta a un trasferimento patrimoniale – anche se in senso contrario rispetto all’originale – genera obblighi fiscali propri.
Ora resta da vedere come i giudici di merito applicheranno queste indicazioni nei casi concreti. Nel frattempo, la decisione della Suprema Corte offre un riferimento chiaro a chi si muove nel campo delle compravendite immobiliari e a chi deve gestire gli aspetti fiscali di un mutuo dissenso.
