Vediamo cosa si intende quando si parla di TFS e cos’altro quando si nomina la sigla TFR. Quali sono le differenze principali tra questi due tipi di indennità per i lavoratori? Ecco tutto quello che c’è da sapere sul “trattamento di fine servizio” e sul “trattamento di fine rapporto”
TFS o TFR? Due sigle parecchio simili, ma che dietro a lettere quasi uguali celano significati abbastanza diversi.
Il cosiddetto “trattamento di fine servizio” non è, infatti, la stessa cosa del “trattamento di fine rapporto”.
Si tratta di due indennità differenti per i lavoratori e che è doveroso non confondere l’una con l’altra.
Cerchiamo, allora, di capire meglio di cosa si tratta e quali sono le differenze principali tra TFS e TFR.
Con la sigla TFS si indica il “trattamento di fine servizio”, ovvero un’indennità riservata ai dipendenti pubblici o statali e dal carattere previdenziale.
Il TFS non ha, infatti, alcuna natura retributiva (a differenza del TFR, come vedremo poi in seguito, ndr) e in Italia spetta a tutti quei dipendenti pubblici o statali assunti a tempo indeterminato prima del 31 dicembre 2000.
A tutti gli altri dipendenti pubblici o statali spetta, invece, il TFR.
Ne deriva che, tutti i dipendenti assunti prima della data sopra indicata e attualmente ancora in servizio hanno diritto sia a una parte di TFS e che di TFR.
Quest’ultimo è stato introdotto con il DPCM del 20 dicembre 1999 ed esteso ai dipendenti pubblici e statali, i quali possono continuare però a beneficiare anche del TFS.
Il “trattamento di fine servizio” ha, infatti, un carattere previdenziale e viene calcolato tenendo conto dell’80% della retribuzione annua del dipendente preso a modello.
I contributi a carico del dipendente e del datore di lavoro saranno, quindi, diversi e così saranno anche i regimi di tassazione per le diverse forme di TFS.
In Italia esistono, infatti, tre tipi differenti di TFS:
– Indennità di Buonuscita (o IBU): prevista per tutti i dipendenti statali in senso stretto (Ministeri, Agenzie Fiscali, scuole, Università, carabinieri, militari, ecc…). La contribuzione da versare all’INPS è per il 7,10% a carico del datore di lavoro e per il 2,50% a carico del dipendente.
– Indennità Premio di Servizio (o IPS): rivolta ai dipendenti delle Regioni, degli Enti locali e della sanità. All’INPS il datore di lavoro versa il 3,50% e il lavoratore il 2,50%.
– Indennità di Anzianità (o IA): prevista per tutti i dipendenti degli Enti Pubblici non economici e delle Camere di Commercio.
Ognuna di queste tre indennità spetta a tutti quei dipendenti delle diverse amministrazioni pubbliche per cui si devono applicare delle aliquote specifiche.
Il TFS è, quindi, un’indennità di liquidazione o di buonuscita che viene corrisposta al momento della cessazione del rapporto di lavoro con l’ente o l’amministrazione di appartenenza.
Nello specifico, l’Indennità di Buonuscita è pari a 1/12 dell’80% della retribuzione contributiva spettante al momento della cessazione del rapporto lavorativo e rapportata su base annua, per il numero di anni di servizio maturali.
L’Indennità di Premio di Servizio, invece, è pari a 1/15 dell’80% della base retributiva annua utile e spettante all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro, per gli anni di servizio accumulati.
Infine, l’Indennità di Anzianità si calcola sul 100% delle voci stipendiali annualmente spettanti alla cessazione del rapporto lavorativo. La misura, in questo caso, sarà pari a tanti dodicesimi quanti sono gli anni di servizio accumulati al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Giusto ricordare come dal 1° gennaio 2014 il TFS venga erogato in più importi, a seconda dell’ammontare della prestazione al lordo delle trattenute fiscali.
Il pagamento, nel concreto, deve avvenire entro 105 giorni in caso di cessazione dal servizio per inabilità o decesso, dopo 12 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro per raggiunto limite d’età o a causa del termine del contratto a tempo determinato, oppure per risoluzione unilaterale del datore di lavoro a seguito del raggiungimento dei requisiti della pensione anticipata e dopo 24 mesi dal termine del rapporto di lavoro in tutti gli altri casi.
La sigla TFR sta per “trattamento di fine rapporto” e indica quel compenso che viene riservato a ogni lavoratore dipendente (pubblico o privato, ndr) quando si conclude un rapporto di lavoro.
Si tratta di un’indennità dovuta dal datore di lavoro, indipendentemente dal motivo che ha portato alla fine del rapporto lavorativo.
Il TFR resta, quindi, sempre valido sia in caso di pensionamento che di licenziamento, fallimento o dimissioni, per contratti sia a tempo determinato che indeterminato.
È un’indennità retributiva e, solitamente, porta l’ex dipendente a percepire qualcosa in meno di un salario mensile per ogni anno di lavoro.
Utile ricordare come, per poter beneficiare del TFR, il rapporto di lavoro debba essere durato più di 15 giorni.
In sede di firma del contratto di assunzione, il dipendente ha, inoltre, la facoltà di indicare se la propria intenzione sia quella di lasciare il TFR in azienda o se destinarlo a un fondo previdenziale.
Nel primo caso, la liquidazione sarà pagata al termine del rapporto di lavoro. Nel secondo, essa sarà pagata alla conclusione dell’età lavorativa, ovvero al momento della pensione.
Nel caso in cui non si indichi alcuna preferenza, dopo sei mesi dalla firma del contratto scatta la cosiddetta clausola del silenzio assenso, la quale prevede che il TFR venga destinato alla pensione.
Passando ai calcoli, il corrispettivo del TFR si ottiene tenendo conto della Retribuzione Annua Lorda (la RAL, ndr) divisa per un coefficiente di 13,5 e poi moltiplicata per l’anzianità di servizio.
Necessario è anche sottrarre lo 0,5% della RAL per la trattenuta di adeguamento.
Nel conto vanno, inoltre, conteggiate le tasse e deve essere calcolata un’aliquota media sugli ultimi anni di servizio.
Il TFR viene, poi, rivalutato ogni anno, tenendo presente una quota del 75% per l’inflazione dell’anno precedente e un incremento fisso dell’1,5% all’anno sull’intero importo.
Un vantaggio del TFR è che di esso si può richiedere anche un anticipo fino a un massimo del 70% del TFR maturato e per motivi rientranti strettamente in tre campi: spese mediche, acquisto della prima casa, motivi personali.
Per le spese mediche e le ragioni personali la tassazione è al 15%, mentre per l’acquisto della prima casa è al 23%.
Le aliquote fiscali sull’anticipo del TFR variano, quindi, a seconda del motivo per cui tale anticipo è stato richiesto.
Riassumendo quanto scritto in questo approfondimento, TFS e TFR sono diversi tra loro poiché sono due indennità destinate a tipologie diverse di lavoratori. A cambiare è anche la loro tassazione.
Per questo, è opportuno non confonderli e sapere sempre a quale dei due si può avere accesso.
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