Cos’è la rivalutazione delle pensioni e chi perde di più

Tutto sulla rivalutazione delle pensioni: scopri chi subisce le maggiori perdite, quando arriverà il conguaglio e cosa succederà nel 2024.

La rivalutazione delle pensioni rappresenta un tema di grande attualità e rilevanza per gli anziani e per coloro che si stanno avvicinando alla pensione. La perequazione delle pensioni, nota anche come rivalutazione, è un sistema che mira a mantenere i pagamenti previdenziali in linea con il costo della vita. Tuttavia, nel 2024 ci sarà un taglio a questo meccanismo, seguito da un altro fatto dal governo Meloni nel 2023. Questi tagli indicheranno chi sarà il più colpito dalla diminuzione. Nonostante la rivalutazione abbia lo scopo di equilibrare le pensioni con l’aumento del costo della vita, i tagli del governo Meloni rischiano di contraddire questo obiettivo.

La decisione del governo Meloni di ridurre i ricalcoli delle pensioni nel 2024 ha generato molto dibattito. Il ridimensionamento sarà ancora più notevole rispetto a quello già attuato quest’anno. Il ricalcolo è codificato per legge, e i governi spesso intervengono per cambiare come viene calcolato. Secondo le tabelle di ricalcolo, nel prossimo anno, coloro che percepiscono una pensione che supera quattro volte l’importo minimo, ovvero oltre 2.100 euro lordi al mese, e in particolare quelli con le pensioni più elevate, ossia più di 5.200 euro lordi, saranno i più colpiti.

Rivalutazione delle pensioni

Il concetto di aggiustamento delle pensioni è noto ufficialmente come “perequazione“. Questo processo consiste nell’aumentare le pensioni ogni anno, a partire dal 1° gennaio, in proporzione all’aumento dell’inflazione dell’anno precedente. Sostanzialmente, l’aggiustamento è un sistema che mira a garantire che i guadagni dei pensionati rimangano in linea con l’incremento del costo della vita: se i prezzi aumentano, le pensioni aumentano di conseguenza. L’obiettivo è preservare il potere d’acquisto dei pensionati. La perequazione fu implementata in Italia nel 1969 con la legge 153, che dichiarava semplicemente che gli importi delle pensioni “sono incrementati a partire dal 1° gennaio di ogni anno, in percentuale equivalente alla percentuale di aumento dell’indice dei prezzi al consumo”. L’intenzione era di correlare l’evoluzione delle pensioni alla ‘scala mobile’ per i salari, poi durante gli anni Settanta la legislazione divenne più rigida e negli anni Novanta assunse sostanzialmente la forma odierna.

Non esiste una normativa che imponga un incremento delle pensioni equivalente al livello di inflazione. Non è automatico che, se una percentuale del 5% dell’ inflazione si verifica in un dato anno, tutte le pensioni subiscano un aumento del 5% l’anno successivo. La revisione delle pensioni non deve necessariamente corrispondere al 100% del tasso di inflazione, ma può essere inferiore. Per esempio, dal 2001 era stabilito che i pensionati che ricevevano un assegno pensionistico fino a quattro volte superiore alla pensione minima avrebbero ottenuto la rivalutazione completa del tasso di inflazione; chi riceveva da quattro a cinque volte la pensione minima avrebbe ottenuto il 90%, mentre chi superava questa cifra avrebbe ottenuto il 75%. Tuttavia, negli anni successivi, sono state identificate diverse modifiche peggiorative.

Due anziani con un porcellino
Foto | pixelshot@Canva – lamiapartitaiva.it

 

La manovra dello scorso anno

Nel suo piano dell’anno precedente, l’amministrazione Meloni ha introdotto un sistema rinnovato che non si limitava a sole tre categorie (inferiore a quattro volte la pensione base, tra quattro e cinque volte, oltre cinque volte), bensì sei. Così facendo, all’aumentare degli stipendi, la percentuale di inflazione incorporata nel riaggiustamento si riduceva. Questa era la struttura per il 2023:

  • fino a 4 volte la pensione minima c’era una rivalutazione del 100% dell’inflazione
  • tra 4 e 5 volte la pensione minima c’era una rivalutazione del’85%
  • tra 5 e 6 volte la pensione minima c’era una rivalutazione del 53%
  • tra 6 e 8 volte la pensione minima c’era una rivalutazione del 47%
  • tra 8 e 10 volte la pensione minima c’era una rivalutazione del 37%
  • oltre 10 volte la pensione minima c’era una rivalutazione del 32%

È da sottolineare che l’inflazione del 2022 ha raggiunto punte mai viste da quasi quattro decenni, attestandosi all’8,1% su base annua, rispetto al mantenimento sotto il 2% negli ultimi dieci anni. Questo ha comportato un drastico incremento dei prezzi e dell’onere economico della vita quotidiana. Di conseguenza, l’aggiustamento necessario per preservare il potere d’acquisto dei pensionati avrebbe gravemente pesato sulle casse dello Stato. Di fronte a questo scenario, il governo ha optato per una riduzione delle pensioni più elevate, limitando così il loro potere d’acquisto al fine di realizzare risparmi e promuovere ulteriori interventi.

Il conguaglio a dicembre 2023

Nel dicembre del 2023, si effettuerà un conguaglio per i pensionati. Successivamente, nel 2024, un calcolo accurato sarà fatto per determinare l’effettiva percentuale di inflazione del 2023. Questo porterà ad un ulteriore aggiustamento delle pensioni. Supponiamo ad esempio che nei prossimi giorni sia previsto un aumento dei costi del 5% per il 2023, ma dopo qualche tempo si scopre che l’inflazione è stata del 6%. In questo caso sarà necessario recuperare un extra 1% (o meno, nel caso di pensioni più elevate). Negli anni precedenti, i pensionati hanno avuto dei piccoli aggiustamenti spesso dello 0.1%. Tuttavia, quest’anno, la differenza tra l’inflazione prevista alla fine del 2022 e quella reale è stata notevole (+0.8%). Quindi, il governo di Meloni ha stabilito che il recupero cui hanno diritto i pensionati non avverrà nel 2024, come di consueto, ma sarà incluso nella pensione di dicembre, trasformandolo in una sorta di bonus di fine anno.

Cosa cambia nel 2024

Il governo Meloni ha stabilito per il 2024 di mantenere la stessa linea d’azione, effettuando un altro taglio nel potere di acquisto. Inoltre, ha deciso di diminuire ulteriormente la percentuale di rivalutazione per le pensioni più elevate, passando dal 32% al 22%. Ecco quindi l’elenco delle rivalutazioni previste per il 2024:

  • fino a 4 volte la pensione minima (sotto i 2.102 euro), rivalutazione del 100%
  • tra 4 e 5 volte la pensione minima (tra i 2.102 e i 2.627 euro), rivalutazione dell’85%
  • tra 5 e 6 volte la pensione minima (tra i 2.627 e i 3.152 euro), rivalutazione del 53%
  • tra 6 e 8 volte la pensione minima (tra i 3.152 e i 4.203 euro), rivalutazione del 47%
  • tra 8 e 10 volte la pensione minima (tra i 4.203 e i 5.254 euro), rivalutazione del 37%
  • oltre 10 volte la pensione minima (sopra i 5.254 euro), rivalutazione del 22%

L’anno 2023 ha visto un calo costante dell’inflazione rispetto all’anno antecedente, nonostante i livelli continuino ad essere insoliti rispetto agli anni passati. Ancora non è disponibile un dato preciso ed ufficiale, ma le voci indicano un valore intorno al 6%. Questo implicherebbe un incremento del 6% degli stipendi più bassi a partire dal primo gennaio 2024, seguito da successive riduzioni percentuali.

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