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Dividendi: la nuova sfida del 5% di imposizione fiscale

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Luca Ippolito

Milano, 14 giugno 2024 – Il regime fiscale sui dividendi delle società potrebbe cambiare drasticamente già dal prossimo anno. Da una bozza del Ddl di bilancio 2026 emerge che il vantaggio fiscale dell’esclusione del 95% dall’imponibile – in vigore dal 2004 – potrebbe essere riservato solo a chi detiene partecipazioni qualificate, cioè almeno il 10%. Se confermato, questo taglio avrebbe un impatto immediato su bilanci e strategie delle imprese.

Dividendi, una nuova stretta in arrivo

Oggi le società che incassano dividendi da partecipazioni in altre imprese possono escludere il 95% di questi proventi dal loro reddito imponibile. Una regola che da vent’anni ha garantito una tassazione più leggera, facilitando il passaggio di utili all’interno dei gruppi e incoraggiando gli investimenti in quote societarie. Ma la bozza della manovra, diffusa ieri tra addetti ai lavori e studi professionali, prevede che questa agevolazione resti solo per chi ha almeno il 10% della società che distribuisce i dividendi.

Fonti del Ministero dell’Economia spiegano che l’obiettivo è “razionalizzare il sistema e allinearlo agli standard europei”, oltre a recuperare gettito fiscale. In pratica, chi detiene meno del 10% vedrà i dividendi tassati per intero, senza più la riduzione attuale. Un cambio che potrebbe pesare soprattutto su holding, fondi di investimento e società finanziarie con portafogli ampi e diversificati.

Chi rischia di pagare di più

Le prime simulazioni, tra cui quelle dello studio tributario Pirola Pennuto Zei, parlano di un aumento delle tasse per migliaia di imprese, soprattutto per chi ha partecipazioni di minoranza in più società. “È una modifica importante”, dice un consulente fiscale milanese, “che può penalizzare chi investe in start-up o PMI senza prendere il controllo”. Molte operazioni di venture capital o private equity puntano proprio su quote inferiori al 10%, per ridurre i rischi.

Anche le grandi aziende potrebbero dover rivedere le loro mosse. Assonime, l’associazione delle società per azioni italiane, avverte che “questa misura rischia di rendere meno attraente il mercato italiano per gli investitori istituzionali”. Il tema è già sul tavolo del governo: “Chiediamo un confronto tecnico”, ha detto il presidente Innocenzo Cipolletta, “per capire bene le conseguenze sul sistema produttivo”.

Un sistema stabile da vent’anni: perché cambiare ora

Il regime attuale, introdotto dalla riforma Tremonti nel 2004, serve a evitare la doppia imposizione economica sui dividendi, cioè la tassazione sia alla società che li distribuisce sia a quella che li riceve. L’esclusione del 95% è stata pensata proprio per rendere neutro il passaggio degli utili tra imprese. Ora però il governo vuole “semplificare e rendere più equo il sistema”, si legge nella relazione tecnica allegata al Ddl.

Le prime stime del Ministero dell’Economia parlano di un incasso extra per lo Stato di circa 1 miliardo di euro all’anno. Una cifra importante, soprattutto con i vincoli europei sul deficit. Ma tra gli addetti ai lavori c’è cautela: “Bisogna evitare effetti indesiderati”, avverte un dirigente di Confindustria, durante un incontro riservato a Roma.

Cosa succede adesso e come reagisce il mercato

Il testo finale della manovra arriverà in autunno. Nel frattempo, associazioni di categoria e studi legali stanno preparando osservazioni e proposte. “Serve chiarezza sui criteri di applicazione”, sottolinea un avvocato tributarista romano, “soprattutto per le partecipazioni indirette o quelle tramite veicoli esteri”.

Intanto, sui mercati finanziari si respira prudenza: alcuni titoli legati a holding e società d’investimento hanno mostrato lievi cali a Piazza Affari nelle ultime ore. Gli operatori aspettano i dettagli ufficiali prima di muoversi.

In breve, la possibile revisione del regime sui dividendi può segnare una svolta per la fiscalità d’impresa in Italia. Nelle prossime settimane capiremo se e come il governo deciderà di andare avanti su questa strada.

Luca Ippolito

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