Roma, 28 dicembre 2025 – Torna sotto i riflettori la questione della quota reddituale da escludere dalla liquidazione, richiesta dal liquidatore o dal debitore. A riaccendere il dibattito è stata una domanda formale presentata ieri mattina al Tribunale civile di Roma, in via Lepanto. La domanda è semplice, ma decisiva: quali redditi e in che misura possono davvero essere tolti dalla liquidazione controllata, su richiesta delle parti coinvolte, alla luce delle ultime novità normative.
Le regole in gioco e come si stanno applicando
La norma sulla liquidazione controllata – secondo l’articolo 268 e seguenti del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) – consente al debitore o al liquidatore nominato dal tribunale di chiedere che una parte del reddito resti fuori dalla massa destinata ai creditori. Dietro c’è l’idea di garantire un minimo vitale al debitore e alla sua famiglia. Lo ha spiegato chiaramente il giudice Carlo Forlani, in aula alle 11.15 di ieri: “La dignità della persona va rispettata. La legge cerca un equilibrio tra i diritti dei creditori e le necessità vitali del debitore.”
L’articolo 14-terdecies della legge n. 3/2012, ora richiamato dal CCII, prevede che il tribunale possa autorizzare, su richiesta motivata, l’esclusione di una quota reddituale “necessaria al mantenimento proprio e dei familiari conviventi”. Non c’è una percentuale fissa: nella pratica si fa riferimento al minimo vitale, spesso calcolato sull’assegno sociale INPS – che per il 2025 è di 534,41 euro al mese.
Come e quando si presentano le richieste
Il tempo gioca un ruolo chiave nelle istanze. Secondo la cancelleria fallimentare di Roma, negli ultimi mesi sono aumentate le richieste dai debitori, spesso supportati dalle associazioni dei consumatori. Anche il liquidatore può avanzare la domanda durante la procedura, allegando documenti che dimostrano le reali condizioni economiche del soggetto sotto liquidazione.
Il giudice valuta ogni caso singolarmente: guarda alla composizione della famiglia, spese mediche documentate, presenza di figli minori o disabili. Spiega l’avvocato Marta Russo, che segue diversi casi simili a Roma: “A volte si considerano anche spese come affitti pesanti o esigenze lavorative particolari.” La procedura può prevedere audizioni dirette delle parti e verifiche con i servizi sociali.
Che impatto hanno queste esclusioni
Per i creditori, la quota esclusa dal reddito significa meno soldi a disposizione per soddisfare i propri crediti. Ma come sottolinea una recente nota del Consiglio Nazionale Forense, lo scopo è evitare che la procedura diventi un’espropriazione pesante per chi è in difficoltà. Spesso si crea un equilibrio: i creditori ottengono una parte dei loro soldi, mentre il debitore mantiene una vita dignitosa.
In particolare, come chiarito da una circolare INPS dello scorso luglio, la liquidazione non può intaccare somme destinate a scopi assistenziali o pensionistici minimi. Ma c’è un nodo da sciogliere sulle entrate irregolari: bonus produzione, rimborsi occasionali o collaborazioni esterne possono essere valutati diversamente. Proprio su questo punto è scoppiata una controversia a Roma: un impiegato si è visto tagliare anche un bonus speciale riconosciuto nel dicembre 2024.
Cosa dicono le sentenze più recenti
Negli ultimi mesi vari tribunali – da Milano a Firenze fino a Bari – hanno preso decisioni non sempre uguali tra loro. A Milano (sentenza n. 1157/2025) l’esclusione è stata fissata sull’intero assegno sociale più il 50% per ogni figlio a carico. A Firenze (ordinanza del 17 ottobre), invece, si è preferito andare con calma: ogni caso viene valutato con accertamenti dei servizi sociali.
Restano poi aperti i rischi di abusi: i creditori possono contestare se ritengono la cifra chiesta troppo alta rispetto alle reali necessità. “È fondamentale verificare bene”, avverte l’avvocato Laura Tagliaferri. “Serve massima chiarezza sui redditi effettivi e sulla situazione familiare.”
Cosa ci aspetta nei prossimi mesi
Sul fronte politico e tecnico-giuridico si prevedono nuovi aggiustamenti nel prossimo futuro. Da un lato ci sono le pressioni delle associazioni dei consumatori – Adiconsum e Federconsumatori hanno già scritto al Ministero della Giustizia – dall’altro c’è bisogno di risposte chiare per giudici e operatori del settore. Si attendono indicazioni ufficiali con una circolare interpretativa entro gennaio 2026.
Nel frattempo resta fondamentale il ruolo del giudice, chiamato a valutare con attenzione ogni situazione personale e familiare. Solo dopo aver completato l’istruttoria e ascoltato le parti potrà decidere quale sia la quota reddituale realmente escludibile dalla liquidazione. Una questione delicata non solo per la legge ma soprattutto per migliaia di famiglie che vivono questa esperienza ogni giorno.
