Manovra 2024, congedo parentale: come funziona e cosa potrebbe cambiare

La legge di Bilancio prevede un aumento seppur limitato della retribuzione per i genitori che si astengono dal lavoro per dedicarsi alla cura dei figli

 

Con la Manovra 2024 potrebbe cambiare anche il congedo parentale allo scopo di aumentare il sostegno alle famiglie e dunque alla natalità. Si tratta di un periodo di astensione dal lavoro, concesso ai lavoratori e alle lavoratrici, diverso dal congedo di maternità e paternità, perché è facoltativo, va ripartito tra i genitori, ha una durata differente e dà diritto a una percentuale minore sulla retribuzione.

Nella sua formulazione attuale, il congedo parentale prevede un periodo massimo di 10 mesi, che possono essere elevati a undici se il padre lavoratore si astiene dal lavoro, in modo continuativo o frazionato, per almeno tre mesi. Il periodo del congedo può essere scaglionato e ripartito non equamente tra i genitori, a patto che nessuno dei due ne usufruisca per più di 6 mesi. In base alle norme vigenti, è riconosciuta

• un’indennità pari al 30% della retribuzione media giornaliera entro i 12 anni di età del bambino e per un periodo massimo complessivo di nove mesi

• un’indennità pari all’80% della retribuzione, per un mese complessivo, per entrambi i genitori, da fruire in modalità ripartita o da uno solo, entro il sesto anno di vita

Come potrebbe cambiare il congedo parentale nel 2024

Nel testo della Manovra 2024 il governo propone di aumentare all’80% la retribuzione di uno dei 9 mesi. Se le modifiche verranno confermate, dal 2024 il congedo parentale darà diritto a 8 mesi retribuiti al 30%, da poter utilizzare fino a 12 anni del figlio, 1 mese retribuito all’80% (fino a 12 anni del figlio) e un altro retribuito all’80% (fino ai 6 anni del figlio).

Una modifica che tuttavia rischia di tradursi in un aiuto alquanto modesto. Secondo le stime, per uno stipendio netto di 1.600 euro, il vantaggio sarebbe di 800 euro per tutta la durata del congedo parentale.

Congedo parentale usato quasi solo dalle donne

Malgrado la facoltà di astenersi dal lavoro sia riconosciuta a entrambi i genitori, in Italia quasi l’80% di chi usa il congedo parentale è donna, come risulta dall’elaborazione di Openpolis-Con i Bambbini sui dati Istat relativi al periodo 2017-2021. Un dato che testimonia ancora una volta il divario uomo-donna nella cura dei figli e lo svantaggio economico subìto dalle donne, dal momento che gran parte del congedo parentale è retribuito al 30%.

Un padre con il figlio in congedo parentale
Foto | Pexels/Tatiana Syrikova – Lamiapartitaiva.it

Congedo di maternità e paternità

Come detto, lo strumento va distinto dal congedo di maternità e di paternità. Il primo è un periodo di assenza dal lavoro che spetta alle lavoratrici in gravidanza e alle neo-mamme. In Italia, la durata del congedo di maternità è di 5 mesi. Durante il congedo di maternità, la lavoratrice ha diritto a un’indennità pari all’80% della retribuzione. Il congedo di maternità può essere fruito in modo continuativo o frazionato, a scelta della lavoratrice. Inoltre, la lavoratrice ha diritto a due ore di “permesso allattamento” che diventano quattro in caso di gemelli.

Il congedo di paternità invece è un periodo di assenza dal lavoro che spetta ai neo papà. In Italia, la durata del congedo di paternità è di dieci giorni lavorativi consecutivi, che diventano 20 in caso di gemelli. Deve essere usufruito – in modo continuativo o frazionato – entro i primi 5 mesi di vita del bambino. Durante il congedo di paternità, il lavoratore ha diritto a un’indennità pari al 100% della sua retribuzione.

Inverno demografico, quanto costa crescere un figlio

La questione dell’inverno demografico, con il calo delle nascite, è preoccupazione crescente in molti Paesi occidentali, Italia compresa. La natalità in discesa e la riduzione della popolazione hanno implicazioni significative sia dal punto di vista economico che sociale. Secondo l’Istat il 2022 ha segnato un record negativo, con 393mila nuovi nati, in calo dell’1,7% sull’anno precedente.

Tra i fattori che disincentivano la decisione di fare figli un ruolo significativo è giocato dai costi associati alla cura e all’educazione. I dati forniti dall’Istituto di statistica, rielaborati dall’Università di Verona, stimano un costo medio mensile di mantenimento di un figlio di età compresa tra 0 e 5 anni è di circa 530 euro, che scende a circa 390 euro al mese nella fascia 6-18 anni. Se si sommano anche i costi relativi a istruzione, attività ricreative, vacanze e altre attività non essenziali, la spesa sostenuta fino al raggiungimento della maggiore età lievita oltre i 300mila euro.

Politiche a sostegno della natalità

Il nuovo congedo parentale si somma alle altre misure della legge di Bilancio per famiglia e natalità. Tra queste, l’aumento dell’Assegno unico e universale per il terzo figlio, almeno fino all’età di sei anni. Il bonus asilo nido per i nati da gennaio 2024 nei nuclei con due figli, di cui il primo minore di 10 anni, e Isee fino a 40mila euro viene elevato a 2.100 euro. A questo scopo viene stanziato 1 miliardo e 400 milioni tra il 2024 e il 2029.

È prevista inoltre la decontribuzioni al 100% fino a un tetto massimo di 3mila euro annui, senza limiti di reddito, per tutte le madri lavoratrici con almeno due figli, escluso il lavoro domestico. Lo sgravio dura fino ai 10 anni del bambino più piccolo per le madri con due figli e fino ai 18 anni con tre figli o più.

Controcorrente d’altra parte il passaggio dell’Iva dal 5% al 10% su pannolini e alimenti per bambini, oltreché su assorbenti e tamponi. Un balzello che potrebbe avere un impatto significativo sui bilanci familiari. Adoc e Eures stimano un aumento di circa 100 euro all’anno per ogni figlio.

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