Roma, 9 novembre 2025 – La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36278 depositata ieri, ha dato un chiarimento importante sulla bancarotta fraudolenta per distrazione. Non serve più dimostrare un legame diretto tra l’atto di distrazione e il fallimento della società. Il caso affrontato riguarda una complessa manovra di interposizione fittizia nelle fatture, usata per far uscire soldi dalle casse di una società poi dichiarata fallita.
Dai documenti emerge che la società aveva messo in piedi un meccanismo con un soggetto straniero, usato come schermo, per emettere fatture false e far sembrare operazioni mai avvenute. Così, i soldi venivano trasferiti all’estero, sottratti al patrimonio dell’azienda. Gli amministratori sono finiti sotto accusa per bancarotta fraudolenta per distrazione, come previsto dall’articolo 216 della legge fallimentare.
La difesa aveva puntato tutto sul fatto che mancasse un collegamento diretto tra queste operazioni e il fallimento della società. Ma la Cassazione non ha accettato questa linea: “Non serve – scrivono i giudici – che la distrazione sia la causa immediata del dissesto. Basta che abbia ridotto il patrimonio della società a danno dei creditori”.
Questa sentenza è destinata a diventare un punto di riferimento nel mondo del diritto. Riafferma un principio già noto: il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione scatta nel momento in cui l’amministratore sottrae beni o denaro alla società, anche se il fallimento arriva dopo, per motivi diversi. “Il danno ai creditori – spiegano i giudici – si realizza già nel momento in cui il patrimonio sociale si riduce”.
Nel caso in esame, la Cassazione ha messo in luce come l’uso di fatture false e di soggetti stranieri fittizi sia una tecnica tipica per nascondere i movimenti di denaro reali. Un sistema che, dicono i magistrati, “rende più complicato ricostruire i fatti e peggiora la posizione degli amministratori”.
Il collegio ha richiamato sentenze precedenti e ha spiegato che “la bancarotta fraudolenta per distrazione non richiede la prova del nesso causale tra l’atto distrattivo e il fallimento”. In sostanza, basta che l’operazione abbia tolto risorse alla società, indebolendo le garanzie per i creditori. È questa la novità che la sentenza mette nero su bianco.
Gli avvocati difensori avevano provato a sostenere che i soldi presi fossero stati reinvestiti nell’attività o comunque non avessero inciso sul dissesto. Ma la Cassazione ha chiuso la porta: “La sottrazione di risorse – anche se temporanea – è comunque reato”, si legge nelle motivazioni.
Tra chi conosce bene la materia, la decisione è stata accolta con interesse. L’avvocato penalista Marco De Santis, intervistato da alanews.it, parla di “un orientamento molto fermo della giurisprudenza in tema fallimentare”. Secondo De Santis, “gli amministratori dovranno muoversi con grande attenzione. Ogni atto che riduce il patrimonio sociale può essere visto come distrattivo”.
Anche alcuni magistrati hanno sottolineato come questa sentenza dia più strumenti ai curatori fallimentari per agire contro chi svuota le casse delle aziende in crisi. “È una tutela importante per i creditori”, dice un giudice del Tribunale di Roma, “specie quando le operazioni sono mascherate da complicate triangolazioni internazionali”.
La sentenza n. 36278 si inserisce in una linea giurisprudenziale che punta a stroncare pratiche elusive e a fare più chiarezza nella gestione delle società. Gli esperti prevedono che questo principio avrà effetti anche su processi ancora aperti, soprattutto quando emergono operazioni sospette con soggetti esteri.
In sintesi, la Cassazione ha tracciato una linea netta: per configurare la bancarotta fraudolenta per distrazione non serve dimostrare che l’atto abbia causato il fallimento. Basta che abbia inciso sul patrimonio sociale, danneggiando i creditori. Un segnale chiaro per gli amministratori e un richiamo a chi vigila sulla legalità delle imprese.
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