Roma, 21 dicembre 2025 – Gli Stati membri dell’Unione Europea possono introdurre, entro i limiti della legge, misure aggiuntive per la protezione dei dati personali. A patto che queste siano davvero proporzionate agli obiettivi dichiarati. Lo ribadisce il quadro normativo europeo, come spiegato ieri dalla Commissione Europea in una nota ufficiale da Bruxelles. Una presa di posizione che riporta sotto i riflettori il delicato equilibrio tra tutela della privacy e esigenze di sicurezza, soprattutto in ambiti sensibili come sanità, giustizia e pubblica amministrazione.
La questione è al centro di un acceso confronto tra esperti e istituzioni da settimane: gli Stati membri possono adottare regole nazionali più rigide o più flessibili rispetto al Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR)? Il vero punto, secondo fonti vicine al Ministero della Giustizia italiano, è trovare la “giusta misura”. «Bisogna assicurare un equilibrio reale tra il diritto alla riservatezza e le funzioni di interesse pubblico», ha commentato stamattina un alto funzionario della Privacy Authority italiana.
Nel dettaglio, il GDPR lascia agli Stati la possibilità di fissare norme specifiche su certi trattamenti dati, soprattutto su lavoro, sanità e sicurezza. Ma la parola chiave resta la proporzionalità: ogni raccolta o uso di informazioni deve essere strettamente necessario per raggiungere lo scopo previsto dalla legge. «Non si tratta di dare carta bianca per limitare o allargare i diritti a piacimento», ha chiarito il vicepresidente del Garante italiano per la protezione dei dati personali, Ginevra Bassi.
Ma cosa vuol dire concretamente “proporzionato alle finalità”? La Corte di Giustizia UE, con diverse sentenze dal 2019 a oggi, ha spiegato che le autorità devono valutare caso per caso se l’ingerenza nella vita privata è davvero necessaria o se esistono modi meno invasivi. In pratica, non si può più giustificare una raccolta massiccia e indistinta dei dati solo “per sicurezza”.
Un esempio spesso citato riguarda le banche dati sanitarie. «L’accesso ai dati deve essere riservato solo a chi ha un bisogno clinico o amministrativo preciso. E solo per il tempo strettamente necessario», ha sottolineato ieri Maurizio Zecchini, docente di diritto dell’informazione all’Università Milano-Bicocca. Solo così una misura può considerarsi legittima secondo il diritto europeo.
Sul tema della proporzionalità sono intervenute nelle ultime ore anche le principali associazioni che rappresentano cittadini e imprese. Da una parte c’è chi, come l’Associazione nazionale consumatori, chiede controlli severi contro possibili accessi non autorizzati: «Serve trasparenza totale sui trattamenti – ha detto la presidente Paola Guidi – perché la fiducia nei sistemi digitali passa proprio da qui». Dall’altra parte, alcune realtà imprenditoriali – soprattutto nel settore tech e servizi online – avvertono che norme troppo diverse da Paese a Paese rischiano di complicare troppo il lavoro. «Se ogni Stato interpreta il principio a modo suo, il mercato unico ne soffre», ha ammesso Federico Baraldi, responsabile legale per una grande piattaforma italiana di e-commerce.
Il dibattito si accende ancora di più quando si parla di sicurezza nazionale e lotta alla criminalità: molti governi chiedono margini più ampi. Tuttavia, come sottolineano diversi giuristi, la giurisprudenza europea è ferma nel richiedere valutazioni precise e motivazioni dettagliate per ogni deroga concessa.
Fonti diplomatiche da Bruxelles raccontano che la Commissione sta preparando una nuova relazione sull’effettiva applicazione del principio di proporzionalità nei vari Paesi UE. Il documento è atteso entro febbraio 2026. L’obiettivo è mettere in chiaro quali margini hanno ancora le legislazioni nazionali senza mettere a rischio l’unità del sistema europeo. Nel frattempo – precisa una nota del Consiglio UE – ogni intervento dovrà comunque rispettare i confini fissati dal GDPR.
In Italia l’attenzione nelle prossime settimane sarà rivolta all’applicazione pratica in settori sensibili come sanità pubblica, giustizia penale e amministrazioni locali. Il ministero dell’Interno ha già fissato un tavolo tecnico per il 10 gennaio prossimo. Sullo sfondo resta sempre aperta la domanda più difficile: dove si traccia il limite tra sicurezza collettiva e libertà individuale? Una risposta chiara ancora non c’è ma – come ricordato ieri da Zecchini – «la proporzionalità non è solo una regola legale: è una sfida politica ed etica che riguarda tutti noi cittadini europei».
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