Milano, 22 dicembre 2025 – Il principio di derivazione rafforzata si sta facendo strada nella gestione dell’imputazione temporale dei componenti reddituali d’impresa. Un tema che, negli ultimi mesi, ha avuto ripercussioni evidenti sia nella pratica fiscale quotidiana sia nei controlli dell’Agenzia delle Entrate. A fare chiarezza ci hanno pensato professionisti e rappresentanti delle istituzioni, intervenuti dopo una serie di nuove circolari interpretative che hanno fatto il punto sulla normativa vigente.
L’articolo 83 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), aggiornato negli ultimi anni, stabilisce che le società OIC adopter – quelle cioè che redigono il bilancio secondo i principi contabili nazionali – devono calcolare il reddito imponibile seguendo le regole civili, “a meno che la legge non disponga diversamente”. Questo è il cuore del principio di derivazione rafforzata.
Marco Manzoni, tributarista milanese, lo spiega così: “Le norme fiscali si rifanno direttamente a quanto scritto nel bilancio, tranne nei casi in cui la legge lo vieti esplicitamente.” In pratica, i ricavi e i costi si riportano come indicato nel conto economico. Ma non è tutto nero o bianco: “Ci sono ancora margini di interpretazione sulle voci escluse o sulle modifiche richieste dalla normativa fiscale”, aggiunge Manzoni.
Parlando di imputazione temporale, si intende il momento in cui un ricavo o una spesa devono essere considerati ai fini delle tasse. Con l’applicazione più stretta del principio di derivazione, la regola base è che la competenza fiscale coincide con quella civilistica. Insomma: quello che finisce nel bilancio vale anche per le imposte in quell’esercizio.
L’Agenzia delle Entrate lo ha ribadito più volte, anche con la circolare 5/E del 2023. Nel dettaglio, ha sottolineato che le società OIC adopter devono attenersi ai criteri degli OIC (Organismo Italiano di Contabilità), salvo casi specifici previsti dalla legge fiscale. Un esempio? I dividendi: sono riconosciuti nel bilancio quando deliberati ma hanno una regolamentazione fiscale diversa.
Un funzionario dell’Agenzia di via Manin a Milano confida: “Solo con un legame stretto tra contabilità civilistica e fiscale si possono ridurre errori e controversie.” Negli ultimi anni infatti gli uffici hanno spinto per maggiore uniformità nei controlli.
Un caso recente riguarda i contributi in conto esercizio. Secondo l’ultima prassi (circolare AdE 18/E del 2024), il contributo va considerato nel periodo in cui viene registrato a conto economico, a patto che siano chiari e certi i requisiti. Così la fiscalità segue le regole degli OIC 12 e OIC 16, riducendo le scelte soggettive dei contribuenti.
Sulla chiarezza d’applicazione, gli esperti invitano a prestare attenzione. Carlo Redaelli, docente alla Bicocca, avverte: “Il rischio è considerare fiscalmente rilevanti voci contabili senza i requisiti richiesti dal diritto tributario.” La linea tra ciò che conta fiscalmente e ciò che resta solo una voce contabile resta sottile ma decisiva.
Non mancano difficoltà pratiche legate al principio di derivazione rafforzata. Ad esempio nelle scritture di rettifica “extra-contabili” o nella gestione degli errori formali emersi dopo la chiusura del bilancio. In queste situazioni i revisori raccontano spesso di confronti diretti tra azienda e Agenzia delle Entrate per evitare futuri accertamenti.
La legge però mette dei paletti ben precisi. Per tutte le situazioni fuori dal campo della derivazione rafforzata – come le svalutazioni fiscali non riconosciute dal bilancio – valgono ancora le vecchie regole del TUIR sulla competenza.
Guardando al futuro, imprese e professionisti sperano in un’ulteriore semplificazione del principio per mettere ordine tra obblighi civilistici e fiscali. Un passo importante per limitare contenziosi e snellire i carichi burocratici.
Nel frattempo la parola d’ordine resta prudenza nella gestione della contabilità e nella corrispondenza tra bilancio e dichiarazioni fiscali. È l’unico modo per evitare spiacevoli sorprese durante i controlli o contestazioni successive.
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