Milano, 13 novembre 2025 – L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 276 pubblicata ieri, ha fatto chiarezza su un nodo importante per i creditori coinvolti in procedure concorsuali: quando è possibile emettere una nota di variazione IVA se un concordato preventivo sfocia in liquidazione giudiziale. Il caso riguarda una società entrata nel concordato nel 2015, con omologa nel 2016, e poi finita in liquidazione giudiziale nel 2024, su decisione del Tribunale. Una vicenda che mette in gioco le regole sulla detrazione dell’IVA in situazioni di insolvenza.
L’Agenzia delle Entrate spiega che vale ancora l’articolo 26 del DPR 633/72, nella versione precedente alle modifiche del decreto legge 73/2021. In pratica, chi vuole emettere una nota di variazione in diminuzione IVA – cioè recuperare l’imposta su crediti diventati inesigibili – deve aspettare che la procedura si dimostri realmente infruttuosa. Non basta l’apertura della liquidazione giudiziale: serve una conferma chiara che il credito non potrà essere recuperato.
Nel caso analizzato, la società era entrata nel concordato preventivo, con il piano omologato, ma nel 2024 il Tribunale ha avviato la liquidazione giudiziale senza che il concordato fosse risolto. Un dettaglio che conta: la procedura non è stata risolta perché è scaduto il termine annuale previsto dall’articolo 186 del Regio Decreto 267/42, come sottolinea la risposta dell’Agenzia.
Un punto chiave riguarda la parte di credito esclusa nel passivo della nuova liquidazione – quella quota “falcidiata” già ridotta nel concordato. L’Agenzia delle Entrate chiarisce che la nota di variazione IVA su questa parte può essere fatta solo dal momento in cui il decreto che forma lo stato passivo diventa definitivo ed esecutivo. Insomma, solo quando è chiaro quali crediti vengono riconosciuti e quali no, si può dire che la parte esclusa è irrimediabilmente persa.
Il motivo è semplice: solo con la certezza dello stato passivo definitivo si può affermare che quel credito non sarà più soddisfatto. Nel documento si legge infatti che “la definitività del decreto di formazione ed esecutività dello stato passivo sancisce, di fatto, l’irrealizzabilità della pretesa creditoria”. Un passaggio tecnico, ma fondamentale per chi deve gestire crediti e IVA.
La risposta dell’Agenzia mette in evidenza un aspetto spesso sottovalutato: la liquidazione giudiziale può partire anche senza che il concordato omologato venga formalmente risolto. Nel caso in questione, infatti, non è stata presentata entro i termini l’istanza prevista dalla legge fallimentare per risolvere il concordato. Così la liquidazione è scattata direttamente, a causa dell’insolvenza della società.
Questo vuol dire che l’accordo di concordato resta valido fino all’avvio della liquidazione. Ma per i creditori cambia tutto: la possibilità di recuperare l’IVA si lega strettamente ai tempi e agli atti ufficiali della procedura.
Per chi ha crediti verso società in queste situazioni, il chiarimento dell’Agenzia è una guida preziosa. La nota di variazione IVA non può essere emessa appena scatta la liquidazione giudiziale. Bisogna aspettare la definizione dello stato passivo. Una differenza che può incidere sui tempi e sui conti delle imprese creditrici.
Gli addetti ai lavori – commercialisti, avvocati, responsabili amministrativi – devono quindi tenere d’occhio scadenze e documenti ufficiali delle procedure concorsuali. Solo così si potrà recuperare l’IVA sui crediti che non si riescono più a incassare.
Un tema tecnico, certo, ma che pesa nella vita di tutti i giorni delle imprese e nel rapporto tra fisco e contribuenti. Come spesso succede in materia tributaria, tutto si gioca sui dettagli delle norme e delle procedure.
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