Roma, 6 giugno 2024 – Con la sentenza n. 22613 depositata il 5 agosto 2025, la Corte di Cassazione ha messo un punto fermo sul versamento di somme su un conto corrente cointestato: non si tratta automaticamente di una liberalità indiretta. Una decisione molto attesa negli ambienti legali, che tocca da vicino tanti italiani e le loro famiglie, soprattutto quando si parla di gestione del denaro tra titolari di conti condivisi.
La Corte spiega chiaramente che per parlare di liberalità indiretta serve la prova dello “spirito di liberalità”, ovvero la volontà di arricchire qualcuno senza ottenere nulla in cambio. Mettere soldi su un conto cointestato — che sia tra coniugi, genitori e figli o fratelli — di per sé non significa che si tratti di una donazione. Occorre dimostrare che quel versamento è stato fatto proprio per donare all’altro titolare.
Nel testo della sentenza si legge: “Il semplice versamento su un conto cointestato non è di per sé una liberalità indiretta. Serve dimostrare l’intenzione di donare, che non si può desumere solo dalla cointestazione”. Un principio che, come spiegano fonti vicine ai giudici, serve a evitare interpretazioni automatiche e a garantire chiarezza nei rapporti economici.
La decisione interessa molte famiglie, soprattutto in quei casi in cui, alla morte di uno dei titolari o in caso di separazione, nasce una disputa su chi può rivendicare le somme sul conto. Prima d’ora, senza indicazioni precise, rischiava di considerarsi ogni versamento come una donazione indiretta, con tutte le conseguenze su tasse e successioni.
Ora la Cassazione dice chiaro: si valuta ogni situazione singolarmente. “Non basta che il conto sia intestato a due persone — spiega un avvocato civilista di Roma — bisogna provare che chi ha versato voleva davvero fare una donazione”. Solo così si potrà parlare di liberalità indiretta e applicare le regole del caso.
La sentenza n. 22613 del 2025 avrà un peso in molti processi civili, specie quelli tra eredi o ex coniugi. Sarà fondamentale portare prove concrete dell’intenzione di donare: messaggi, dichiarazioni scritte o comportamenti chiari. Senza queste, il semplice versamento non basterà più.
“La Cassazione invita a guardare alla sostanza, non solo alla forma”, ha commentato un docente di diritto privato dell’Università La Sapienza. “Chi vuole fare una donazione tramite un conto condiviso deve lasciare tracce chiare”. Un consiglio utile sia per i privati che per chi li assiste nella gestione del patrimonio.
Il tema delle liberalità indirette è stato al centro di molte sentenze negli ultimi anni, ma mancava una linea chiara sui conti cointestati. Con questa pronuncia, la Cassazione richiama le regole base del codice civile: la donazione richiede la volontà precisa di arricchire l’altro e che il donatario ne sia consapevole.
Gli esperti spiegano che questa decisione si allinea a una tendenza giurisprudenziale che punta a valorizzare la volontà reale delle persone coinvolte. “Non si può pensare che due persone che condividono un conto abbiano fatto una donazione per il solo fatto della cointestazione”, osserva un notaio milanese. “Serve sempre la prova dell’intenzione vera di donare”.
La sentenza è stata accolta positivamente da banche e studi legali specializzati in diritto di famiglia. “Finalmente un po’ di chiarezza”, ha commentato un consulente patrimoniale a Piazza Cavour. “Ora sarà più difficile contestare donazioni inesistenti solo perché c’è la cointestazione”.
Resta da vedere come i tribunali interpreteranno questo principio nelle cause concrete. Intanto chi gestisce patrimoni familiari dovrà fare attenzione a come trasferisce denaro tra cointestatari. È un dettaglio che può fare la differenza in caso di contenzioso.
Con questa sentenza, dunque, la Cassazione traccia una linea netta: versare su un conto cointestato non è automaticamente una liberalità indiretta. Solo dimostrando il vero spirito di liberalità si potrà far valere questa tesi davanti ai giudici.
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